Artificial Intelligence

La promessa dei Big Data non è stata mantenuta

L’ubiquità dei Big Data è tale che Gartner li ha tolti dal loro novero delle tecnologie emergenti già nel 2015. In tutti i settori le aziende stanno affannandosi per rendere ogni funzione “data-driven” ed innumerevoli aziende tecniche all’avanguardia sono in coda per offrirgli consulenze. La grande industria dell’analisi di dati, che promette di aiutare le grandi imprese a sfruttare i petabyte di informazioni che vengono continuamente da queste generate e immagazzinate, vale 122 miliardi di dollari ed è in crescita.

La premessa di base dell’offerta del settore è questa: nascosti in quella enorme massa di dati aziendali ci sono pattern latenti. Se solo si potesse interpretare i dati correttamente, come un archeologo riesce a decifrare un’antica pergamena, si riuscirebbe a portare alla luce preziosi segreti commerciali. Strumenti software per analisi specializzate sono necessari per dare un senso a queste grande masse di dati. Disparate e disordinate quantità di dati entrano in questi strumenti i quali, da questa materia grezza, estraggono intuizioni ed interpretazioni che si possono mettere all’opera nella pratica di tutti i giorni.

In realtà gli esempi nel mondo reale di come queste analisi di Big Data abbiano scovato “tesori nascosti” si fa fatica a trovarne. Per meglio dire è difficile trovare un esempio di come queste analisi abbiano trovato dei pattern nascosti in base ai quali l’azienda ha agito producendo un risultato commerciale quantificabile. Questo non significa necessariamente che l’analisi di Big Data sia un grande bluff, ma semplicemente può significare che c’è una cospicua assenza di casi di studio concreti che evindenzino la catena “dati-visione-azione-valore”.

Quello che è successo negli ultimi anni in realtà è che le innovazioni tecnologiche nella capacità di gestire grosse quantità di dati (grazie ad aziende trainanti come Google o Amazon) hanno fatto un fulmineo balzo in avanti e la nostra capacità di interpretare e dare un senso a tali dati è rimasta indietro, visto che è un sapere che si migliora principalmente attraverso la sperimentazione.

Nel frattempo però le imprese si sono affrettate a voler usare i Big Data esattamente come venivano usate nel passato quantità di dati “a portata di database”: reporting e BI. Gli enormi investimenti in strumenti costruiti appositamente per analizzare dati su larghissima scala, sono stati premiati con dashboards interattive anche accattivanti che però non fanno altro che visualizzare tali dati attraverso grafici o tabelle riassuntive. E’ facile constatare come questo approccio non sia esattamente in linea con le promesse fatte agli albori di queste tecnologie.

Le grandi imprese stanno manifestando un trend Google-style in quanto a strumenti, ma sono solo all’inizio dell’adozione contestuale di un modo di pensare Google-style. Algoritmi di traduzione, generati grazie ad un enorme corpus di dati di training, permettono con Google di tradurre testi dal Francese all’Arabo senza che tali algoritmi sappiano nulla della grammatica francese o araba. Algoritmi di raccomandazione di prodotti di Amazon generano il 35% del totale delle vendite, senza interrogarsi sul motivo per il quale alcuni prodotti sono “comprati insieme”.

La bellezza degli algoritmi predittivi è che non hanno bisogno di capire la catena causa-effetto che si cela dietro le relazioni statistiche. Ci sono algoritmi di “manutenzione predittiva”, ad esempio, che sono in grado di dire quando determinate apparecchiature in una catena di montaggio sono in procinto di manifestare malfunzionamenti sulla base di dati del passato e rilevazioni presenti da sensori. Immaginate se, invece di applicare un algoritmo di machine learning al problema, analisti di Big Data avessero compilato l’insieme di dati del passato in rapporti di sintesi e cercato di scovare “intuizioni” circa il motivo per cui l’apparecchiatura si rompe in modo da impedire che questo si ripeta. E’ evidente come questo secondo approccio sarebbe risultato molto meno efficace del primo.

Stiamo a malapena graffiando la superficie del ventaglio di possibilità che le applicazioni commerciali di IA e machine learning offrono. Per progredire, le entità trainanti del mondo aziendale devono fare un passo in avanti verso il futuro identificando quali parti delle loro imprese sono veramente pronte ad essere “data-driven” e supportate da algoritmi di IA e machine learning invece che da schiere di analisti impegnati in una continua caccia all’oro dei pattern nascosti nelle grandi quantità di dati.

L’Unione Europea ha un programma di finanziamento per progetti Big Data.

 

articolo originale: techcrunch.com

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